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“Non solo anticorpi. Ecco perché i vaccini continuano a proteggerci dal Covid”

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Quando smetteremo di essere naif? “Allora, probabilmente, il coronavirus si ridurrà a un raffreddore”. Alessandro Sette è un immunologo che dirige un laboratorio all’Istituto di La Jolla, in California. E’ uno degli scienziati più impegnati al mondo a studiare gli effetti di Sars-Cov2 e per lui “naif” è un termine tecnico. Si riferisce al sistema immunitario che ancora non ha imparato a riconoscere il suo avversario. I vaccini, in questo senso, non vanno immaginati come un muro, ma come un addestramento, che può essere più o meno efficace e più o meno duraturo. Ma che, in ogni caso, ci aiuterà a smettere di essere naif nei confronti del coronavirus. 

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E’ vero che quando calano gli anticorpi il vaccino perde efficacia? 

“Solo in parte. Se immaginiamo l’infezione come una battaglia, gli anticorpi sono i proiettili sparati al nemico. E’ normale che si diradino alla fine delle ostilità. La vera domanda piuttosto è: cosa accade ai soldati incaricati di premere il grilletto? Restano in trincea, attenti a riconoscere un nuovo attacco, o vanno via lasciando sguarnite le posizioni? I soldati sono le cellule della memoria immunitaria che dopo il vaccino o l’infezione hanno imparato a identificare il nemico e saranno pronte a intervenire in caso di nuova invasione”. 

Quindi cosa accade sei mesi dopo il vaccino? 

“Gli anticorpi aumentano in maniera esponenziale subito dopo il vaccino, poi iniziano a ridursi, poi tendono a una riduzione più’ lenta, o a raggiungere un plateau. Non ha senso che restino numerosi. E’ normale che sei mesi dopo il vaccino il loro numero sia calato. Quel che resta è la memoria immunitaria, formata dalle cellule B, incaricate all’occorrenza di produrre gli anticorpi, e dalle cellule T, con il compito di eliminare le cellule infette. Loro restano in circolazione e nei tessuti per molto tempo, anche anni. Un collega italiano a Singapore ha trovato quelle della prima Sars in un individuo che si era infettato 17 anni prima”. 

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E con il coronavirus attuale? 

“Nei nostri studi vediamo queste cellule nell’organismo, dopo il vaccino o l’infezione. Studiando i volontari che avevano ricevuto una dose ridotta di Moderna abbiamo osservato che dopo 7 mesi gli anticorpi si riducono di 7-10 volte, mentre le cellule T si riducono solo di 2 volte. Quindi sono più durature”. 

E dopo i 7 mesi? 

“Vacciniamo da meno di un anno. Dovremmo attendere, per sapere cosa accadrà in futuro. Ma al momento sappiamo che anche se i proiettili sono scomparsi, i soldati sembrano restare pronti a premere il grilletto”. 

Perché allora tanti contagi nei Paesi che hanno somministrato i vaccini parecchi mesi fa? 

“Perché la memoria cellulare non è in grado da sola di prevenire l’infezione. Per quello servono gli anticorpi. Immaginiamola così: il virus, se non ci sono proiettili in circolazione, riesce a entrare nell’organismo e lo infetta, raggiungendo le alte vie respiratorie, naso e gola. La sua strategia prevederebbe poi di scendere nei polmoni, ma per quello gli serve tempo. Infatti nei malati di Covid vediamo che la polmonite arriva in genere dopo un paio di settimane dall’infezione. Nel frattempo, se si è vaccinati o guariti, i soldati di guardia sono riusciti ad allertarsi e le cellule B hanno iniziato a “sparare” anticorpi. Il virus in questa situazione fatica ad arrivare ai polmoni. Il tampone risulta positivo perché l’infezione è in atto. Possiamo avere sintomi da raffreddore o influenza, ma l’invasione si ferma lì, quasi sempre evitiamo ricovero e morte. Per questo diciamo che i vaccini non impediscono necessariamente il contagio, ma sono efficaci nel prevenire la malattia grave”. 

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Se la memoria cellulare funziona, perché dobbiamo fare la terza dose? 

“E’ una domanda mal posta; bisogna distinguere ciò che è necessario da ciò che è comunque utile. La necessità di un ulteriore richiamo riguarda sicuramente le persone immunocompromesse o anziane. Per gli altri la terza dose rappresenta un aiuto, e siamo più protetti se la facciamo. Guardando a una popolazione nel suo complesso, il richiamo riduce la circolazione del virus. Io personalmente ho 61 anni e lavoro in un laboratorio che si occupa di Covid, ma ho fatto la terza dose anche per ridurre il rischio che in caso di contagio possa infettare altre persone, magari più fragili di me”. 

Basterà la terza dose o dovremo andare avanti ancora con i richiami? 

“Non lo sappiamo. Ci sono vaccini come l’epatite B che vengono somministrati in tre dosi e proteggono per tutta la vita. Altri come tetano o pertosse hanno bisogno di richiami periodici. Cosa accadrà con Sars-Cov2 ce lo diranno il tempo e gli studi”. 

Perché non abbiamo un test sierologico che ci indichi se siamo protetti o abbiamo bisogno di un richiamo? 

“Perché i test sono molto variegati, con gradi assai diversi di precisione. E perché essere protetti non è una condizione precisa. Posso essere protetto dall’infezione oppure dalla malattia grave. Posso essere protetto da un incontro breve con una persona contagiosa, ma non da un’esposizione prolungata. Di recente c’è stato un grosso focolaio a Rhode Island perché durante un festival è arrivato un acquazzone. Tutti i partecipanti si sono rifugiati nei bar a bere senza mascherina. E’ chiaro che se una persona infetta mi respira in faccia per ore la mia protezione, qualunque essa sia, sarà messa a dura prova”. 

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I bambini reagiranno al vaccino come gli adulti? 

“Molte cose nei bambini funzionano meglio degli adulti. Nel caso della memoria immunitaria, loro hanno a disposizione un pool di cellule naif che dopo il vaccino o l’infezione sono pronte a essere arruolate contro Sars-Cov2. Negli anziani le cellule naif si sono molto ridotte, e questo è uno dei motivi per cui il loro sistema immunitario è meno duttile ed efficiente, anche contro il Covid”.

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